Rivoluzione romana, rivoluzione europea

Il conte Pellegrino Rossi era al seguito di Murat nella sua sventurata spedizione napoletana del 1815, riparato in Francia, con l’avvento della monarchia di Luglio venne spedito dal Guizot a Roma, dove rimase una volta caduto Luigi Filippo. La rivoluzione europea era già ben diffusa in Italia e solo lo Stato della Chiesa sembrava farle ancora argine, tanto che il Rossi rassicurava i suoi amici legittimisti francesi. «Gli italiani scrive, non sono comunisti e tantomeno radicali, ma lo diventerebbero se per impedire il sopravvento del partito nazionale, si intraprendessero contromisure violente». Per questo anche i sovrani, che al solo sentire la parola “Costituzione”, veniva l’itterizia, erano comunque propensi a cedere e il pontefice stesso si convinse, non solo ad inserire nel suo governo dei laici, ma persino di fare di un riformatore come Rossi il ministro degli Interni e ad interim degli Esteri, in pratica il capo del governo del papa. Rossi poi si sarebbe preso anche la carica delle Finanze e fece tutto il possibile per rimettere in piedi quel baraccone cadente dello Stato pontificio, tanto che all’ipotesi della guerra con l’Austria fu lui a inventarsi la formula per tenersene fuori, con una dottrina federale degli Stati d’Italia, tale da preservare l’autonomia del Regno della Chiesa in qualunque situazione immaginabile.

Nemmeno un solenne processo istituito dalla curia reinsediatasi a Roma è riuscito a fare la necessaria chiarezza giudiziaria sull’omicidio dell’eccellente Rossi. Certo è che solo eliminando Rossi il partito rivoluzionario riuscì ad aprire il percorso alla Repubblica Romana e che inevitabilmente la Repubblica si ritrovò subito contro uno dei principali estimatori del Rossi rimasti in Francia, Alexis De Tocqueville, ministro del dicastero del regime da cui pure il Rossi era stato cacciato perché troppo conservatore. Gli elementi personali assumono sempre un aspetto rilevante nell’elaborazione del processo storico, ma mai sufficientemente paradossali. Anche Mazzini poteva confidare su rapporti di amicizia in Francia e persino molto più diffusi di quelli del Rossi, lo stesso Luigi Napoleone Bonaparte era fra le amicizie del Mazzini, per non parlare degli esponenti politici di opposizione, e quelli più importanti nel mondo della cultura democratica, come Michelet, Quinet, George Sand. Eppure nel momento più critico della rivoluzione romana, la Repubblica si troverà di fronte l’unico che davvero è un suo nemico mortale, il discendente dei Malesherbes, il conte di Tocqueville. Il bello è che probabilmente nemmeno l’odio di Tocqueville sarebbe bastato per sopprimere la Repubblica. Era indispensabile l’orgoglio ferito del generale Oudinot che non rispettò la tregua temendo appunto la pace che si stava trattando sulle spoglie della gloria, che sarebbe rimasta a Garibaldi. I primi francesi entrati a Roma, furono quelli prigionieri.



Karl Marx seguì i moti in Francia come corrispondente della Gazzetta renana e intelligente com’era non ebbe il minimo dubbio nel vedere il governo del nipote una farsa rispetto a quello dello Zio. Tocqueville, un genio acclamato in tutta Europa, considerava il futuro Napoleone Terzo poco più di un imbecille. Questo povero presidente giudicato da operetta, avrebbe volentieri aiutato la giovane Repubblica romana che sorgeva in perfetta corrispondenza con la sua e gli offriva una posizione strategica nella penisola, per non dire che lo liberava da chi, per l’appunto, suo zio aveva addirittura incarcerato. Disgraziatamente, il nervo scoperto del nuovo governo francese era la protezione della figura del papa e quello si era messo a starnazzare come lo avessero spennato. L’errore tragico della Rivoluzione Romana, non fu l’omicidio di Rossi, ma l’essersi lasciato scappare il pontefice. Il papa libero consentì la rovina della Repubblica ed è il motivo per il quale Tocqueville, che la Repubblica l’odiava, coniò la formula di successo dell’intera epopea che si sarebbe aperta, “libera Chiesa in libero Stato”. La formula della nuova restaurazione moderata.

Nell’Ancien règime, il capo del governo era necessariamente il capo della Chiesa, anche se cattolico riconosceva la sovranità del papa, il clero gli era completamente sottoposto, oppure come nella Spagna dell’Inquisizione, comandava direttamente il clero. Nello Stato moderno i vecchi reazionari hanno subito usato le garanzie democratiche concesse per battersi per l’indipendenza della Chiesa, il modo sicuro per minare l’indipendenza del governo. Il concordato venne inventato appunto per chiudere le ostilità. Va solo ricordato che il primo ad introdurlo in Europa, parliamo sempre dello zio di Napoleone terzo, lo redasse da una posizione di forza assoluta. Già quella di Mussolini era più discutibile. Continuando ad andare avanti di questo passo, tanto vale ridare direttamente il potere alla Chiesa mettendo una pietra sopra la rivoluzione europea e la Repubblica Romana. Oppure, rilanciamo la Repubblica Romana e si ritrova il filo mazziniano della Rivoluzione Europea.

La Voce Repubblicana - 03.02.2024
di Riccardo Bruno